"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

venerdì 3 aprile 2020

CONSIDERAZIONI SULLA PANDEMIA DA COVID-19


Il Coronavirus (o Covid-19) è apparso in Cina in Dicembre, nella città di Wuhan con alcune morti sospette di polmonite. La burocrazia ha subito negato che fosse un problema, tesa com'è, soprattutto in una dittatura, a mantenere il controllo della normale amministrazione.
Al dottor Li Wenling, che la denunciava come possibile pandemia, è stato detto di piantarla di seminare zizzania.
Ai dati che presentava ha opposto il licenziamento e l'incarcerazione, salvo poi farlo diventare un eroe quando ormai era morto per il virus dilagante.
A quel punto la pandemia da coronavirus era assurta a problema principe e la burocrazia per cercare di contenerla chiudeva la città di Wuhan (11milioni di abitanti) e in seguito, poiché la metà della popolazione era uscita dalla città verso la regione per il capodanno cinese, chiudeva anche lo stato di Hubei, di cui Wuhan è la capitale.
La quarantena nello stato era totale. Tutto chiuso: la gente in casa, fabbriche e negozi chiusi, etc. A farla osservare era l'esercito in armi, capace anche di sparare.
Una quarantena durata 50 giorni e partita il 23 gennaio.
La sorpresa e l'incredulità del governo cinese fanno pensare difficile l'ipotesi di una manipolazione del virus in laboratorio e di una sua fuga indesiderata. Più logico un salto di specie dagli animali selvatici all'uomo per il rimaneggiamento continuo del loro habitat, come affermano studiosi di tutto il mondo.
In Italia, come in Europa, arrivavano notizie sempre più preoccupanti.
Il governo Conte decide di dichiarare lo stato di emergenza nazionale e di sospendere tutti i voli da e per la Cina. E' l'unico governo nel mondo a prendere una misura così drastica che ha subito l'effetto di rovinare i rapporti con quel paese, per cui deve intervenire il presidente Mattarella a ribadire la solidarietà nostra verso la Cina e la rinnovata amicizia.
Il governo Conte dalla fine di gennaio fino al 23 febbraio non prende alcun provvedimento per preparare il paese alla pandemia futura.
Gli italiani, in Cina per lavoro, riescono a tornare ugualmente, se non con voli diretti, tramite lo scalo di Francoforte.
Nei loro confronti non c'è alcuna misura di quarantena, tale da impedire al virus di entrare nel nostro paese. Il 23 febbraio all'ospedale di Codogno registrano casi di Covid-19 e contemporaneamente anche a Vo (Pd). Il governo stabilisce due zone rosse in cui nessuno può entrare e da cui nessuno può uscire. Viene dato grande risalto alla cosa come misure assolute di contenimento. Tuttavia il 19 febbraio era stato permesso di giocare la partita di Champions tra Atalanta e Valencia allo stadio di S. Siro a Milano. Decine di migliaia di tifosi atalantini si mescolavano tra loro e con migliaia di tifosi spagnoli.
Nonostante l'emergenza dichiarata, il governo Conte ha permesso un evento terribile in chiave di possibile pandemia.
Il 23 febbraio all'ospedale di Alzano Lombardo, in val Seriana (Bg) vengono registrati due casi di covid-19. I due vengono trasferiti a quello di Codogno. L'ospedale viene chiuso per 2 ore, il tempo delle analisi, e poi stranamente riapre, diventando così un veicolo di contagio ulteriore. L'effetto della partita di calcio comincia farsi sentire nel Bergamasco.
L'assurdo comportamento del governo Conte ha permesso che, nonostante la dichiarata emergenza, si instaurassero nel nostro paese ben due focolai del virus. Uno a Codogno e Vo per i voli dalla Cina via Francoforte, non soggetti a quarantena, e l'altro nel Bergamasco per la partita di Champions del 19 a Milano, ben più massiccio e incontenibile.
Ma passano ancora due settimane prima che il governo decida misure serie di contenimento del virus per la Lombardia il Veneto e l'Emilia, che prevedano la chiusura di cinema, teatri e bar.


L'Italia per i voli indiretti dalla Cina, senza quarantena e la partita di Champions  diventa il 1° paese d'Europa colpito dal covid-19.



La Spagna diventa il 2° paese d'Europa più massicciamente infettato dal covid-19 a causa di quella famosa partita di Champions.



ALLA FACCIA DELL'EMERGENZA DICHIARATA 1 MESE PRIMA DAL GOVERNO CONTE



Serioli Giuliano
Reteambienteparma
Parma 3-03-2020



martedì 18 febbraio 2020

CONTRO L'ABBANDONO DELLA MONTAGNA

La montagna parmense è un corollario di disastri.
Frane, frazioni abbandonate, strade interrotte o difficilmente percorribili per il manto quasi sempre sfondato.

Senza un'economia è impossibile fare prevenzione e attuare una cura attenta del territorio.

In questi trent'anni l'industria ha distrutto l'artigianato e l'agricoltura di sussistenza, costringendo le genti a trovare occupazione altrove.


Oggi l'80% degli abitanti delle terre alte sono anziani, mentre i giovani lavorano nella pedemontana.
Prato Spilla, con l'impianto di risalita e l'albergo, è la testimonianza lampante degli errori fatti in passato dalle amministrazioni, dei soldi buttati al vento per un progetto turistico sbagliato.
Oggi, quei pochi finanziamenti si concentrano sulla legna.
Soldi dalla Regione per finanziare centrali a cippato, teleriscaldamento e produzione di energia elettrica e soldi per finanziare cooperative di taglio.
Questo nuovo filone si aggiunge alla devastazione causata dalla speculazione sulla legna da ardere in tutt'Italia.
Autorità e statistiche affermano che la superficie boschiva è in continuo aumento, mentre i boschi, in realtà, vanno in fumo.
Sembra un paradosso ma è la realtà : aumenta la superficie boscata ma diminuiscono i boschi.
100.000 Km2 di superficie boschiva in Italia produce di suo un accrescimento annuale di 1.000 m2 al minuto, cioè 500 km2 di superficie in più ogni anno.
Che corrisponde a circa 5,4 milioni di tonnellate in più di legna. Che vanno a sopperire alla sottrazione dei 2 milioni di tonnellate di legna dichiarata tagliata, oltre ai 3,3 milioni
di tonnellate di legna importata, quasi totalmente per rifornire le centrali a cippato e le stufe a pellet.
Apparentemente siamo a posto, quello che viene tagliato è uguale a quello che ricresce naturalmente. Tutto si tiene, sembra non esserci alcun problema!
Ma statistiche di AIEL e di altre aziende del settore legno affermano che il consumo reale di legna in Italia è di circa 25 milioni di tonnellate.
Ciò vuol dire che se l'accrescimento naturale+la legna ufficialmente tagliata+ quella importata sono poco più di 10 milioni di tonnellate, gli altri 15 milioni sono tagliati in nero.
15 milioni di tonnellate corrispondono a 1.500 km2 di boschi che spariscono ogni anno dal nostro patrimonio boschivo. Tre volte tanto l'accrescimento naturale. Soprattutto in alto.
Certo la superficie boschiva non scompare, ma per almeno trent'anni i boschi tagliati non ci sono, stanno solo ricrescendo lentamente.
Così i nostri boschi vanno in fumo : è la speculazione sulla legna da ardere.
Si finge poi che il taglio della risorsa bosco crei un'economia, inondi di soldi i borghi e impedisca che negozi e servizi chiudano.
I soldi invece sciamano lontano, come i camion verso la pianura, per giungere nelle tasche di chi la legna la commercia.
Ancor meno economia creano le centrali a cippato, né lavoro.
La centrale di Monchio ha dovuto svendere l'impianto di produzione di energia elettrica perchè antieconomico, consumava troppo e produceva in perdita.

Centrali che sono impianti industriali senza filtri, con solo un multiciclone per raccogliere le ceneri volanti. E tutte le emissioni nocive se le cuccano i residenti, compreso il bemzopirene cancerogeno.
Centrali del cui calore possono usufruire solo i residenti nel capoluogo, mentre le frazioni ne sono totalmente escluse.
Per contrastare i tagli speculativi, le frane, il dissesto delle strade, per fermare l'abbandono della montagna occorre crearvi un'economia.

Canalizzare i finanziamenti nell'edilizia per il recupero dei borghi col risparmio energetico, capace di costruire una ricezione dignitosa, oggi inesistente, per un turismo diffuso.
Una ricezione capace di contrastare l'abbandono sempre più massiccio delle seconde case ed il loro totale disfacimento.
Un turismo basato inizialmente su una serie di piccole strutture nei borghi in grado di supportare a livello di accoglienza e logistica i percorsi turistici della alte vie, coordinati ai rifugi esistenti e soprattutto a quelli abbandonati e da ripristinare.
Un turismo collegato ai parchi e alla possibilità che questi non rimangano solo sulla carta, ma si facciano portavoce della praticabilità della natura nelle scuole e nell'università.
Lo scoutismo è un'esperienza positiva che va allargata alla scuola dell'obbligo, con una leva di guide volontarie capaci di organizzare e condurre i ragazzi, anche dal punto di vista descrittivo e culturale.
Tramite le unioni di comuni occorre costruire condizioni infrastrutturali (ad esempio macelli intercomunali), fornire incentivi finanziari, locativi e disponibilità bancarie ad iniziative per la produzione e la stagionatura artigianali di eccellenze alimentari che l'aria pulita e l'elevata umidità possono garantire con un livello superiore di qualità rispetto alla loro produzione industriale.
Che si è impiantata anche nella nostra montagna con stalle di 500 vacche che, oltre ad imporre condizioni insostenibili di vita agli animali, non producono lavoro in loco.
E' pensabile trasformare dei giovani senza lavoro in artigiani di montagna, dei laureati senza occupazione in imprenditori di se stessi con idee giuste per un agroalimentare di eccellenza.


Serioli Giuliano
Reteambienteparma
Commissioneaudit

martedì 4 febbraio 2020

I NOSTRI TERRITORI CI PARLANO

Gli amministratori, PD in particolare, ci dicono che il taglio boschivo in montagna non incide nella salvaguardia dei boschi, perché la superficie boschiva cresce in continuazione. E' vero solo formalmente. La superficie boschiva statisticamente cresce perché i pascoli e i coltivi sono sempre 

più abbandonati ed il bosco finisce per riprenderseli.
Ma in alto vengono tagliati senza ritegno boschi di quarant'anni e più, rigorosamente in nero, e i soldi vanno ad imprenditori di chissà dove, non restano certo nei borghi di montagna, sempre più per altro spopolati.
Quindi assistiamo ad un paradosso: la superficie boschiva cresce ma i boschi in alto spariscono.

In alta pianura e nella prima collina l'economia tira. Grana e prosciutto vanno in tutto il mondo e creano occupazione, anche perché  il consorzio di produzione chiude entrambi gli occhi se le cosce non sono di razza autoctona ma duroc danesi od altro. I terreni agricoli, però, si riducono e la cementificazione del territorio aumenta di continuo: capannoni, strade etc.
I ricchi produttori fanno quel che vogliono del territorio, supportati in tutto dagli amministratori.

In tal modo si ha che l'alveo dei torrenti si riduce sempre più ed allora i padroncini chiedono dighe perché le piene dei torrenti non minaccino i loro possedimenti.
Le dighe nel nostro Appennino creano così un primo grave problema. Bloccano, come afferma il prof. Vernia, la corrente di subalveo dei torrenti, quella che alimenta le falde acquifere sotterranee nella conoide alluvionale allo sbocco in pianura, lasciando così a secco i coltivi in estate.
Ad una diga si chiede, poi, che produca energia elettrica, cioè che ci sia un salto significativo tra la base della stessa ed il livello dell'acqua all'interno dell'invaso.
In sostanza, che il livello dell'acqua sia sufficientemente alto da produrla.

Ma, a questo punto, ci si chiede come farà una diga a regimare una piena improvvisa.

I fautori delle dighe ovviamente non lo sanno e non ne parlano.
Ci sono poi amministratori e burocrati dei vari enti che hanno già deciso come salvare la città dalle alluvioni del Baganza cementificando quasi 1 km2 di terreno agricolo al Casale di Felino. Spesa circa 60 milioni di euro.

A tutti costoro rispondiamo che la prima difesa del territorio dalle piene avviene in montagna, lasciando intatti i boschi , governandoli in modo decente.
A tutti diciamo che costruire una diga in una montagna franosa è un non senso, che al posto di una cassa d'espansione si possono fare tracimazioni controllate dagli argini del Baganza, quando in autunno i coltivi siano già stati raccolti, rifondendo celermente i contadini dei danni subiti con minima spesa.

Che così facendo l'acqua delle alluvioni non scorrerà immediatamente in Po e poi rapidamente in mare, ma ristagnando in pianura, potrebbe alimentare le falde sotterranee utili in estate quando la penuria d'acqua si farà sentire. 

Come auspica il prof. Valloni. Questo ci suggeriscono i nostri territori e noi di ReteambienteParma da tempo lo ripetiamo, anche pensando alla difesa della città dalle alluvioni.

Anche perché l'attuale progetto di cassa è tarato sul livello attuale di piogge improvvise e di quantità d'acqua che scende dalla montagna.

Ma come sarà tale quantità in un futuro prossimo venturo, stante il cambiamento climatico in atto?

Serioli Giuliano
ReteambienteParma

sabato 7 dicembre 2019

Dissesto idrogeologico : la montagna ha bisogno di prevenzione

Clima impazzito o stoltezza dell'uomo?

L'immagine riporta un tipico taglio raso effettuato nel nostro Appennino.
Come si può facilmente notare, è stato fatto su un versante che supera il 100% di acclività, o ci è molto vicino.

Un taglio sconsigliato perché denuda un versante ripido, soggetto a forte corrivazione in caso di piogge intense e quindi soggetto ad asportazione del suolo e denudamento del substrato roccioso. Lì il bosco ha smesso la sua funzione di spugna rispetto all'acqua piovana che scorrerà ancora più velocemente a valle. Se il suolo viene in gran parte asportato dalle piogge è impossibile che il bosco ricresca come prima. Sarà più rado e stentato.
La realtà dei tagli dissennati e dell'asportazione di soprasuolo boschivo è una amara realtà di tutti i bacini imbriferi della nostra provincia. La Regione nega che, dal punto di vista quantitativo, questo sia un problema, affermando che rispetto ai due milioni di metri cubi di accrescimento annuo dei boschi il mezzo milione di metri cubi prelevato coi tagli sia poca cosa.
Anzi, si deve prelevare di più. Ma considera che non tutto è ceduo? Che l'acclività e la difficoltà di arrivare a strade in molte zone rende impossibili i tagli? Che quindi questi avvengono quasi sempre nelle zone boschive più accessibili e più vicine alle strade rotabili?
Che quindi si corre il rischio di denudare in modo massiccio una fascia boschiva ristretta?
La Regione dice che è “necessario attribuire un valore economico ai servizi eco-sistemici prodotti dal patrimonio forestale a favore della intera società, a cominciare dalla sua capacità di regolazione del deflusso idrico in funzione dell’immagazzinamento della risorsa per scopi idro-potabili, della tenuta dei versanti, ma soprattutto dalla sua funzione di assorbimento della CO2”.
Quello cui assistiamo, invece, è la sempre maggior monetizzazione della legna da ardere e dei suoi derivati, pellet e cippato. Il bosco vede una sola valorizzazione, quella del mercato della legna da ardere. Con tutte le conseguenze che la combustione della biomassa comporta, non solo per l'incremento della CO2 in atmosfera, ma soprattutto per l'inquinamento da polveri altamente tossiche e cancerogene.
La recente iniziativa della Regione di concedere 420 mila euro a fondo perduto per diradare le pinete della nostra Provincia serve solo ad approvvigionare di cippato le centrali a legna di montagna, che visto che il prezzo della legna da ardere è più del doppio di quello del cippato, sono in seria difficoltà.
Altra spugna che se ne va per esigenze di bottega.
Il problema, col cambiamento climatico in atto e coi 200 mm di pioggia in poche ore dell'ultima alluvione del Baganza, è proprio la montagna che con i suoi boschi smette di trattenere l'acqua.
La cassa di espansione potrebbe servire a contenere gli effetti ma non sana le cause, che sono appunto il calo della capacità di assorbimento dei nostri boschi.
Regione, AIPO ed altre istituzioni pensano che per mettere in sicurezza il territorio la soluzione sia ingegneristica, appunto costruire una cassa d'espansione.


Un buco di 600 metri x 1000 e profondo 15 che trattenga la piena quando arriverà.
Ammesso che sia la soluzione e non lo crediamo, il problema è a monte, lungo l'alveo del torrente, nella cementificazione, nei boschi tagliati, nei versanti denudati.
Il problema è che senza una difesa attiva del territorio la cassa da sola non sarà sufficiente.
E veniamo al dunque della cassa d'espansione.
Basterebbe un progetto di difesa attiva per preservare dalle piene il territorio.
Ad esempio rialzare gli argini a valle di Sala Baganza con sfioratoi in grado di riversare l'acqua in eccesso nella campagna attorno.
Questo previo accordo coi contadini della zona, remunerandoli dei danni alle colture.
Niente scavo e cemento, che abbasserebbe ulteriormente la falda acquifera che provoca mancanza
d'acqua nell'alta pianura.
Ma coinvolgimento dei contadini e delle piccole aziende edili della zona agli argini e ad eventuali laghetti in cui contenere l'acqua in eccesso delle piene primaverili.


Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
Salvaguardia e sostenibilità del territorio locale

martedì 22 ottobre 2019

PROBLEMI IDRICI NEL NOSTRO TERRITORIO

Le prove in vasca della cassa d'espansione sul Baganza sono state effettuate. Il progetto esecutivo sta per essere ultimato.
A Gennaio partiranno i lavori per la cassa sul Baganza al Casale di Felino, che dureranno 5 anni.
La soluzione decisa dalle autorità dopo l'alluvione del 2014 è questa.
La pioggia battente per diverse ore di quell'autunno aveva convogliato verso la pianura una quantità d'acqua mai vista prima in così poco tempo, tracimata al ponte dei Carrettieri, allagando quella parte di città.
Parma ha scoperto in modo diretto il cambiamento climatico nelle nostre terre : il maggior calore accumulato dalla primavera si scontra in autunno con improvvise perturbazioni di origine artica, sprigionando acquazzoni molto più intensi di prima.
L'aumento del gradiente termico crea le bombe d'acqua.
Ma la cassa d'espansione è la soluzione giusta al problema?
Il manufatto implica la cementificazione di 8 ettari di suolo.
Non certo una cosa positiva in una pedemontana già ultra cementificata.
Inoltre, quella massa d'acqua trattenuta verrà scolmata in poco tempo e non finirà nel sottosuolo ,come è necessario, ma direttamente in mare.
L'acqua, inoltre, non è un problema solo per la città, lo è anche per il territorio. Non è necessaria solo per le persone, ma per i campi, per gli allevamenti, per la crescita e lo sviluppo delle piante.
Cambiamento climatico non vuol dire solo diluvio, acqua da trattenere in qualche modo.
Significa anche che piove in maggior quantità e più di rado.
Acquazzoni turbolenti e fiumi in piena che scorrono rapidi verso il mare.
Vuol dire minor ricarica degli acquiferi, i bacini d'acqua del sottosuolo da cui ricavare acqua per persone, coltivi e piante.
La cassa d'espansione, invece, deve rimanere sempre vuota per svolgere il suo compito, quindi deve rilasciare l'acqua in poco tempo.
Il suolo, al contrario, deve trattenere l'acqua per più tempo perché questa si infiltri in profondità, perché raggiunga gli acquiferi, li rimpingui.
Quindi LA CASSA E' LA SOLUZIONE SBAGLIATA contro l'inaridimento del suolo che il cambiamento climatico sta provocando.
Se piove di rado e quelle volte ne viene una quantità spropositata, non deve incontrare manufatti che la convoglino al mare più velocemente, deve essere trattenuta sul suolo per il tempo necessario ad andare in profondità per esservi lì trattenuta.

Che fare,allora, per impedire che la città venga alluvionata di nuovo?
E che fare perché l'acqua di piogge intense riesca ugualmente a rimpinguare gli acquiferi e non scorra via attraverso i torrenti?

La soluzione c'è : TRACIMAZIONI CONTROLLATE.

Attraverso paratie mobili lungo gli argini del Baganza, convogliare l'acqua di piena in zone determinate della campagna circostante, che in autunno l'aratura segnala che i coltivi sono già
stati raccolti e smerciati.
L'acqua ha il tempo di andare in falda e i danni eventuali alle fattorie, da rifondere subito, sicuramente non sono paragonabili al
costo in denaro ed in perdita di suolo dell'annosa cassa.
Ovviamente, tali paratie devono essere collegate ad una centrale di monitoraggio dei livelli di pioggia e dei tempi di corrivazione dell'acqua piovana, nonché ai livelli di piena già registrati lungo l'asta del torrente in località a monte.
Parimenti, anche i boschi della nostra montagna svolgono una notevole funzione di mitigazione delle quantità d'acqua e dei tempi di corrivazione della stessa. Per questo deve essere abbandonato il taglio raso matricinato e intensificato quello per l'avviamento all'alto fusto.
Si stima che il taglio raso matricinato, dal 2009 ad oggi, abbia trasformato il 20% dei nostri boschi in cespuglieti o poco più, con grave danno anche per l'assetto del suolo non più trattenuto dall'apparato radicale.


Serioli Giuliano
ReteambienteParma
Parma 14-10-2019

sabato 3 agosto 2019

LO STATO EFFETTIVO DEI NOSTRI BOSCHI

Girando in auto per la montagna tutto appare verde. Dove l'anno precedente sono stati effettuati tagli, cespuglieti sono cresciuti di gran carriera, soffocando le poche matricine lasciate. Dal basso sembra che il verde domini una montagna incontaminata in cui i boschi avanzano.
La realtà non è così.

Pare che l'Istat non raccolga più dati sui tagli di legname nel nostro paese dal 2017.

Fino al 2016 però sono disponibili tutti i dati relativi.
Il Bilancio Energetico Nazionale riporta che nel 2016 il consumo di legna da ardere in Italia si è assestato su 25 milioni di tonnellate.
Circa il 20% di famiglie italiane si serve di legna da ardere per il riscaldamento.


Infatti negli ultimi anni sono state vendute 2 milioni di stufe a pellet e circa 300 Mega Watt termici ed elettrici sono stati prodotti dalle centrali a biomassa, frutto della speculazione che la cosiddetta green economy perpetua sulle nostre bollette, incamerando gli incentivi per la produzione di energia
"verde" e rilasciando in cambio polveri sottili e veleni per tutta la penisola.
Le centrali a biomassa, dall'Alto Adige alla Calabria, passando per Russi in Emilia, producono energia elettrica, disperdendo la gran parte di quella termica, e vengono alimentate quasi del tutto da legna importata dall'estero via nave, catalogata come scarto di deforestazione.
Sono esattamente i 3,3 milioni di tonnellate che troviamo nella relazione del Bilancio Energetico Nazionale quale legna importata.
A bilancio figurano quindi non più di 2 milioni di tonnellate di legna di produzione nazionale. Sembrerebbe che il prelievo di legna dai nostri boschi sia di conseguenza quasi nullo.
La superficie forestale del nostro paese, infatti, è di 10 milioni di ettari, cioè 100.000 km quadrati, un terzo della superficie del Paese.
A causa dell'abbandono della fascia montana dell'Appennino, tale superficie boscata ha un ritmo di crescita eccezionale, 1.000 metri quadrati al minuto, cioè circa 500 km quadrati all'anno.
Vuol dire che la superficie boscata immette ogni anno 5,45 milioni di tonnellate di legna prelevabile in più. Proprio uguale a quei 5,3 milioni di tonnellate di legna registrati a bilancio tra quella prodotta in chiaro e quella importata.
Occorre considerare però che l’accrescimento naturale non corrisponde ad alberi in più ma ad apparato fogliare accresciuto e cimali soltanto.
Ma allora tutti gli articoli di giornale sui tagli dissennati dei boschi, sui prelievi eccessivi che mettono a rischio frane il nostro paese sono una bufala?
Ovviamente no.
Se al consumo di legna da ardere (25 milioni di tonnellate) togliamo l'accrescimento naturale dei boschi, le importazioni e il taglio dichiarato in chiaro (in totale 10,3 milioni di tonnellate) restano ben 15 milioni di tonnellate di legna tagliata “in nero” sui monti del nostro paese.
Le autorità nazionali e locali che si vantano della crescita costante dei boschi, che è solo apparato fogliare in più, fanno finta di niente sui tagli nascosti.
Se la legna prelevabile cresce naturalmente ogni anno di 5 milioni di tonnellate, nello stesso tempo cala di 20 milioni di tonnellate per i tagli nascosti.
Il saldo negativo è evidente: ogni anno perdiamo 1.500 km quadrati di boschi, cioè 150.000 ettari (-1,5% ogni anno).
Lo mettiamo in rilievo, parliamo di boschi e non di superficie boschiva.
I nostri burocrati locali faranno a gara per rispondere a gran voce che non si perde niente, che non si tratta di superficie boschiva, che i boschi ricrescono.
A loro rispondiamo in anticipo che quelle superfici metteranno trent'anni a tornare come prima.
Ogni anno perdiamo una quota di bosco.
I tagli avvengono soprattutto sull’appennino tosco emiliano e su quello ligure, le zone più vicine alla grande diffusione di stufe a pellet, che quindi in questi ultimi 10 anni piccole matricine o piante di pochi anni hanno preso il posto di boschi invecchiati su circa il 25% della superficie boschiva di queste aree.
I tagli rasi sono quasi la totalità, lasciando solo cespuglieti.
Il danno idrogeologico è immane a fronte del cambiamento climatico.
Ci saranno sempre meno radici di piante adulte a trattenere i pendii del nostro Appennino, strutturalmente franoso di suo.
La superficie foliare, capace di contrastare le bombe d'acqua, sarà sempre minore.
Ne risentirà il paesaggio e il turismo, fonte principale di introiti economici per la nostra montagna.
Gli introiti della gran parte dei tagli vanno ad aziende che pagano in nero gente dell'Est Europa, esentasse.
Di questi soldi niente o poco rimane ad alimentare le economie dei borghi sempre più abbandonati, che devono ricorrere all'unità con comuni limitrofi per poter garantire i servizi minimi con economie di scala.
I dati sono tratti dal convegno promosso da AIEL del 23 febbrario 2018.


Giuliano Serioli


Rete Ambiente Parma
Salvaguardia e sostenibilità del territorio

giovedì 18 luglio 2019

La strana storia della diga di Armorano

Da alcuni mesi sulla Gazzetta di Parma compaiono periodicamente numerosi articoli che propongono con grande entusiasmo la costruzione di una diga ad Armorano in Val Baganza. Ma perché tanta intraprendenza? E’ bene fare chiarezza.
Tutto è cominciato con il progetto della cassa di espansione a Sala Baganza che ha trovato la contrarietà di molti cittadini del luogo. Anch’io sono contrario alla costruzione di quell’opera perché ritengo che il modo migliore di prevenire le alluvioni sia quello di naturalizzare i fiumi restituendo loro lo spazio che gli è stato tolto. L’alluvione di Parma del 2014 non fu causata da un Baganza cattivo e crudele ma da un innaturale restringimento alle porte della città dovuto a innumerevoli attività umane. Ora il letto del fiume in quel tratto è stato allargato e il rischio è notevolmente diminuito ma rimane ancora molto da fare per renderlo ancora più sicuro come, ad esempio, incentivare la delocalizzazione di alcuni siti industriali che ancora operano nel greto.

A Sala Baganza invece alcuni personaggi molto influenti che comprensibilmente non vogliono la cassa di espansione sotto casa loro hanno pensato di risolvere il problema proponendo la costruzione di un’opera ancora più devastante in casa altrui in base al noto principio “not in my garden” (non nel mio giardino).

L’Unione Industriale ha preso la palla al balzo considerando la possibilità di lauti profitti nella realizzazione di un’opera così faraonica mettendo subito al lavoro la Gazzetta di Parma che, con la solerzia e la tenacia di un imbonitore, stampa periodicamente edulcorati articoli che vantano i miracolosi vantaggi che la diga porterebbe (ricchezza, turismo, ecc.) senza fare il minimo cenno alle numerose controindicazioni che un’opera così invasiva comunque avrebbe sull’intera vallata. E’ noto a tutti che l’Unione Industriali non è deputata alla cura e alla tutela del territorio ma bensì, legittimamente, a garantire gli interessi dei propri associati promuovendo occasioni di business.
Insomma l’idea della diga non è una proposta degli organismi tecnici competenti preposti alla tutela del territorio ma un’iniziativa di privati cittadini che attraverso l’UPI hanno promosso la campagna di stampa sulla Gazzetta.

Ora cerchiamo di mettere i piedi per terra. La val Baganza è una delle valli più fragili e franose d’Italia. Dalla pianura fino alle sorgenti è costellata da innumerevoli frane attive (Ronzano, Armorano, Chiastre, Casasevatica, Cervellino, solo per citarne alcune) e chi transita regolarmente lungo la stretta di Armorano trova continuamente sassi, massi e detriti che cadono dalla montagna e ostruiscono la strada tanto da rendere quel tratto pericoloso nei giorni di forti piogge. In questo punto la strada viene periodicamente chiusa anche per lunghi periodi per consentire i lavori di messa in sicurezza delle frane della Riva dei Preti e di Armorano che finora nessuno è riuscito a domare e che anno dopo anno sgretolano la montagna.

E’ in questo luogo così instabile e precario che si vuole costruire la diga!

Non bisogna poi dimenticare le numerose frane quiescenti che si riattiverebbero se venissero anche solo parzialmente ricoperte dall’acqua. La tragedia de Vajont fu provocata da una frana di questo tipo e, forse non a caso, l’originario progetto della diga di Armorano degli anno ’50 venne definitivamente abbandonato nei primi anni ’60 dopo questi tragici avvenimenti.

C’è poi un altro problema: a causa della fragilità della vallata ad ogni piena enormi quantità di fango e detriti vengono trasportati a valle; lo sbarramento non farebbe altro che trattenerli riempiendo l’intero bacino in poco tempo: è quello che è successo in val d’Aveto (a 50 km di distanza) e che sta succedendo in Val d’Arda nella diga di Mignano. Tutti gli abitanti della Val Baganza hanno visto con i loro occhi le enormi quantità di fango e detriti che l’alluvione del 2014 trascinò a valle e che, in presenza dello sbarramento, ne avrebbe gravemente compromesso l’efficienza: un bacino in una valle fatta di fragili montagne che si sgretolano in continuazione richiederebbe quindi enormi costi di manutenzione.
E’ bene ricordare, inoltre, che gli invasi appenninici sono ben diversi da quelli alpini alimentati da ghiacciai e piogge molto più copiose. Gli invasi del nostro territorio sono quasi sempre semivuoti e si presentano normalmente come un acquitrino circondato da una vasta e desolante aureola di fanghiglia ed è difficile credere che possano attirare flotte di turisti come sostiene la Gazzetta.

Insomma se la diga venisse costruita la stabilità e la sicurezza del nostro territorio verrebbe gravemente compromessa, l’intero borgo di Tavolana sparirebbe sotto una coltre di melma mentre il tratto più bello e suggestivo della nostra valle apparirebbe come un acquitrino fangoso a ridosso di una orrenda muraglia di cemento. La bellezza della val Baganza (la sua vera ricchezza) verrebbe sacrificata in nome dell'interesse di pochi.
La costruzione della diga porterebbe lauti guadagni alle imprese coinvolte e se poi le cose andassero diversamente da come previsto non è più un loro problema. Il problema resterà sulle spalle dei cittadini e della comunità che ne ha sostenuto il costo come troppo spesso succede nel nostro paese.

Mi auguro che il buon senso ritorni presto sovrano.

domenica 14 luglio 2019

QUANDO NON SI VOGLIONO IMPARARE LE LEZIONI DELLA STORIA.


Esiste un filo conduttore che unisce la diga del Vajont con quella di Armorano. Non voglio fare terrorismo e non mi riferisco al rischio che l’invaso di Armorano, una volta realizzato, possa provocare immani tragedie: non ho alcuna competenza per fare valutazioni del genere e le due realtà sono molto diverse e probabilmente incomparabili. Mi riferisco invece allo STESSO IDENTICO METODO con cui sono stati realizzati i due progetti.
Alla fine degli anni ’50 un abile ingegnere, osservando la gola del Vajont, pensò che costruendo una diga alta quasi 300 metri si potesse produrre tantissima energia elettrica; aveva ragione ma si dimenticò di prendere in considerazione la geologia della valle; la natura fece il suo corso e tutti noi sappiamo come andò a finire. La diga, una straordinaria opera ingegneristica, è ancora là in tutta la sua imponenza a ricordarci e a insegnarci che non basta l’ingegneria per realizzare opere del genere mentre sono molteplici i fattori che devono esser presi in considerazione primo fra tutti una valutazione seria, rigorosa e inconfutabile del rischio idrogeologico che deve garantire l’assoluta sicurezza dell’opera.
Ad Armorano sta succedendo la stessa identica cosa: a qualcuno viene in mente di costruire un invaso ed ingaggia un abile ingegnere per realizzare il progetto di una diga alta 100 metri senza che si faccia la ben che minima considerazione del rischio idrogeologico ne alcuna valutazione dell’impatto ambientale. I numerosi articoli della Gazzetta e le slide mostrate alla presentazione del progetto non dicono nulla al riguardo e si limitano a decantarne le straordinarie qualità.
C’è però una differenza che rende grottesca la vicenda di Armorano: i progettisti idearono la diga del Vajont per fornire energia elettrica all’Italia animati dal desiderio (pur sbagliando) di contribuire allo sviluppo economico del paese mentre la diga di Armorano è stata pensata nel chiuso delle mura domestiche di qualche ricca e potente famiglia parmigiana semplicemente per evitare la cassa di espansione nei pressi della propria abitazione e dei propri capannoni riesumando un vecchio progetto che, guarda caso, venne definitivamente abbandonato proprio dopo la tragedia del Vajont.
Anche la politica ha preso posizione rispetto a questa vicenda e dal grottesco si passa al paradosso. Sulla Gazzetta sono comparsi diversi articoli a sostegno dell’opera a firma della Lega e di Fratelli d’Italia. Tuonano i politici: “non bisogna dar retta ai fanatici ambientalisti che non sanno cogliere le occasioni!!! Bisogna costruire la diga di Armorano per dare acqua alla popolazione!!!”. Ma che ne sa un politico di dove debba essere costruita una diga??? Un politico serio che legittimamente ritiene, in base alla sua visione del mondo, si debbano costruire le dighe dirà semplicemente “Bisogna costruire le dighe!” dopo di che recluterà un team di scienziati che a seguito di seri e approfonditi studi indicheranno il sito ideale dove costruirla garantendo l’assoluta sicurezza dell’opera e il minimo impatto ambientale. Perché la Lega vuole costruire la diga proprio ad Armorano e non a Berceto o a Marzolara? E perché proprio in Val Baganza (dove l’acqua non è tantissima) e non in Val Taro o in Val Ceno?
Lo sappiamo tutti che la diga costruita proprio ad Armorano renderebbe superflua la cassa d’espansione di Sala Baganza che infastidisce la vita di alcuni ricchi e potenti imprenditori.
Non sarà forse che la politica anziché essere al servizio dei propri elettori è in realtà al servizio dei potenti???
E’ importante trovare una risposta a questa domanda.


L’invaso del Vajont completamente riempito dai detriti e la diga intatta. Si osservi l’estrema franosità dell’area.



La diga della Val d’Aveto, distante in linea d’aria 50 km da Armorano. Anch’essa è stata riempita dai detriti ma in maniera molto meno violenta che nel Vajont e fortunatamente non causò vittime. Questo fatto tuttavia ci dimostra che il rischio di un disastro va sempre preso in seria considerazione e che è sempre necessario fare tutte le valutazioni del caso prima di proporre un’opera simile.


La mappa del dissesto idrogeologico del luogo in cui si vuole realizzare il bacino di Armorano. Le zone colorate indicano le aree a rischio idrogeologico e i colori i diversi livello di rischio. I progettisti non hanno fatto alcun riferimento a questa mappa disponibile sul sito della regione Emilia-Romagna.